Nel dare notizia dell’attivazione del sito del
Centro Interculturale Raimon Panikkar, diffondiamo anche un breve resoconto, giuntoci da
Giuseppe Cognetti dell'incontro con lo stesso Panikkar.
Questa nota non è assolutamente una mera descrizione dell’incontro ma contiene importanti e vivi spunti di riflessione.
Memoria dell’incontro con Raimon Panikkar
di Giuseppe Cognetti
Ho incontrato Panikkar nella sua casa a Tavertet, nell’entroterra catalano, insieme ad un gruppo di amici, martedì 8 settembre scorso.
Chi non conosce Tavertet dovrebbe andarci: il luogo, in uno scenario di grandissima suggestione, è incorniciato da montagne selvagge, canyons, aspre giogaie, e sospeso in orizzonti apertissimi, quasi a simboleggiare la vastità, l’ampiezza dello sguardo necessaria a chi oggi vuole incamminarsi sul sentiero avventurosissimo della filosofia e della pratica interculturale, dove non ha senso portare nulla con sé, se non il desiderio di lasciarsi alle spalle il passato, certo, senza rinnegarlo o dimenticarlo, ma con la consapevolezza che le vecchie strade non portano più a niente, non servono più, che occorre un’”altra cosa”, come ripeteva quasi ossessivamente il grande filosofo hindu Aurobindo.
E quest’“altra cosa” a Tavertet la si intravede, la si sente nella “pancia”, ma non si sa (ancora?) tradurla in parole, in progetti, in pensiero (non in “concetti”, perché i concetti, nonostante la storia gloriosa e i meriti enormi, sono un’invenzione occidentale, e non è detto aiutino nel dialogo con altre culture e altre kosmologie).
Panikkar ha compiuto novantuno anni; ha problemi di deambulazione e cardiocircolatori, e viene curato con una medicina che non ama, anche se la accetta: preferirebbe l’ayurveda, ma anche la medicina dev’esser dialogica, scambiarsi, integrare, ascoltare altre fisiologie, anatomie, visioni della materia corporale dell’uomo. La nostra medicina non è né superiore né inferiore, è una delle tante possibili, con i suoi meriti e demeriti, come la scienza, che non è niente di assoluto, universale e necessario: esistono tante scienze, tanti modelli di scientificità, che ora debbono parlarsi, aiutarsi…
L’impressione della visita è enorme; Panikkar è letteralmente un corpo “dialogico”, il che non vuol dire invadente, anzi, ma si sente che mente e cuore e fisicità sono tutt’uno, fusi ma non confusi, che distanza e prossimità coincidono, che si ha a che fare con un “uomo vero”, direbbe la tradizione taoista…
Ha voglia di parlare, di rispondere alle domande, di ascoltare, di rompere un certo isolamento in cui forse si cerca di tenerlo per tutelarlo, proteggerlo; ci inviterebbe a pranzo, se non fossimo troppi e non fosse troppo faticoso per Carmen, la donna, di grande intelligenza e disponibilità, che lo “assiste” in tutti i sensi.
E poi, come tutti i vecchi, ama ricordare: incontri, dialoghi, vicende. Soprattutto Heidegger, di cui ripete più volte il nome – con un sorriso divertito, ci rivela che piaceva alla moglie del grande filosofo. Rievoca le lunghissime conversazioni nella sua casa nella Selva Nera, e infine, commosso, ci confida che Heidegger, l’anno della sua morte, il 1976, gli dedicò una poesia sulle parole che devono ridiventar Parola, sulla necessaria e radicale trasformazione del nostro linguaggio.
Gli faccio una domanda impegnativa: come dialogare con culture che non hanno conosciuto l’Illuminismo, di cui Panikkar è grande estimatore, e per le quali, come l’Islam, la stessa pensabilità di un dialogo “dialogale” e pluralistico è, tranne che per pochi “illuminati”, impossibile? Si concentra per rispondere ma lo anticipa un collega lì presente: non tutto ciò che esiste, dice, è vero, reale… Ma possibile, mi chiedo, che tutte le vie debbano sempre portare a Hegel?
Forse Panikkar ora è “oltre” quella domanda, molto filosofica, forse è un tipo di domanda che andrebbe ritradotta un altro “climax”, forse quello dell’Overmind o della Supermind di Aurobindo. Dice una cosa strana su Aurobindo: ho un legame diretto e personale con lui, anche se non l’ho mai conosciuto…
Una parte di noi è lì per chiedergli di accettare di essere Presidente Onorario di un Centro Interculturale che da poco due sue allieve e io abbiamo messo su. Accetta con gioia, insistendo sulla necessità di stringere il più possibile legami in tutto il mondo, di creare una sorta di rete di donne e uomini di “buona volontà”, che aiuti come può in un momento in cui le forze falsamente unificanti della globalizzazione si scatenano tutto riducendo a economia e tecnica, svuotando, classica impresa “diabolica”, l’umano, massacrando l’anima con la potenza, direbbe Guènon, della “controiniziazione”.
Ce ne andiamo a ora di pranzo; le grandi vetrate della casa di Panikkar, che lasciano vedere l’interno, i bei mobili, i tantissimi libri sulle pareti, sono come il simbolo di una trasparenza relazionale che dobbiamo ricostituire, pena la distruzione della specie homo sapiens.